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IL CORVO E LA VOLPE

Nero. Il corvo pennato, lucido e lucente, gran becco sempre pronto, se ne rubò un pezzetto di cagliato d’avanzo di chissà dove. Tronfio. Petto in fuori e zampe svelte, trottò sul prato e poi sull’albero.
Limpido il cielo, verde i campi. Il sole riluceva e brillava d’Agosto. Campane a campanacci ad echeggiare lontani. Nient’altro.

– Buon pezzo di formaggio, caccia d’oggi! – se ne ridacchiava il pennato – Presto, presto! Mangiarlo adesso, si?! –

Rossa. La volpe pelliccia, canina e felina, zampe mute d’ovatta, si avvicinò. Nascosta. Agitando le spalle si scoprì dall’erba, e ne venne fuori. Sorriso a non finire, e piani di ladrare in testa. Affamata. Già pronta e furba, ma garbata.

 

– Oh, che buona caccia hai fatto quest’oggi, amico corvo! – disse – Dove mai lo catturassi il formaggio? –

Il corvo, rubatolo poco fa ad un bambino piangente in picnic, con graffi e beccate in numero, presto rispose:

 

– Trovatolo –

– Oh, si dev’esser gran furbi come te, per trovare certe squisite merende – lo adulò la volpe.

Toccato. Il corvo si gonfiò, carezzato di lusinghe.

– Oh, e guarda che gran penne che ll’hai! Gonfie e nere, lucide e lucenti! – continuò la volpe.

Fiero. Il pennato superbo s’ingalluzzì, mettendo in mostra ciuffi e pennacchi.

– Oh, e scommesso che con tali gran virtù s’abbina bene una gran voce di canti e fischietti –

Pronto. La strozza uccellina gli si incannò di gloglottii.

– Forse il can’ rosso vuol sentire, si?! – chiese il corvo.

– Oh, sicuro che l’amerei da non credere –

Stonato. Il corvo iniziò il suo canto, concerto di fischi, rutti e gracchiate. Agitato in scossoni e grida acidule.

– Oh, balsamo per le orecchie! – continuò la volpe – Ancora un poco, amico! –

 

Compiaciuto. Il corvo grattò gola e fiato, gracidando a becco aperto. Saltellando e freneticando sul ramo. Finché poi il formaggio cadde, scendendo l’albero, fino al davanti delle zampe della volpe.

– Oh, forse in tante gran qualità, amico corvo, ammanca spazio per un po’ di scaltrezza – disse la volpe – virtù del quale, purtroppo per te, io ne son colma –

Lesta. E, con gran boccone, divorò il boccone.

Nero. Il cielo s’intempestò d’un tratto, tuonando e fulminando, nuvole basse e scure già pronte a diluviare. Gelida. L’aria diventò pungente in gran folate.
Livida. Il volto della volpe s’infuoco e gli occhi s’invenarono rossi di sangue. Soffocava e affannava in spasmi, le gengive gonfie e madide.

 

– Mi hai avvelenato, bastardo d’un pennato! –

– Forse il can’rosso è troppo furbo, si?! Forse vuoleva fregarmi, si?! –

Rapido. Il corvo calò dal ramo, non spiegando le ali, atterrando sulle zampe erette, predando il predatore. Rossa. La volpe, oltre il rosso, gli occhi tumidi e sanguinanti. Respiro su respiro, soffocando l’asfissia. Zampe e coda scomposti, crampi allo stomaco, contorcimenti.
Fitta. La pioggia scese in spine, diagonali dal vento. Tuoni, folgori e baccano di tempesta.
Crudo. Il corvo artigliò i bulbi ancora vivi della volpe. Con il becco li dilaniava e ne spolpava il midollo bianco, mentre il corpo rosso, sotto, ancora spasmava. Respiri strozzati, grida di dolore e supplizio, latrati e ganniti.
Festo. Il pennato saltellava, beccava le orbite snervate e le gengive sanguigne. S’imbrattava vermiglio, di liquidi e pioggia. Occhi cavernosi e fondi, vuoti e neri. Movimenti sfatti. Ne faceva scempio.
Campane e campanacci ad echeggiare lontani.
Rombi e rimbombi vicini.
E un colpo di fucile.

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