top of page

FUOCO AL POZZO

C’erano tre biciclette al sole. E sopra le bici tre tipi: uno alto, uno basso, e uno storto.
L’estate era quella fra la scuola media e la scuola superiore, e il sole era quello delle quattro di pomeriggio. Il paese era quello delle campagne deserte e della periferia.
Il primo tipo, l’uno alto, aveva la faccia squadrata e la braccia lunghe. I capelli biondi a spazzola ed il naso adunco. E la bicicletta rossa.
Il secondo tipo, l’uno basso, aveva i capelli a caschetto neri, e gli occhi piccoli. La maglia rossa e la bicicletta verde. E un cerotto sullo zigomo.
Il terzo tipo, l’uno storto, aveva la scoliosi e la cifosi. I capelli rapati a zero e le guance scavate. E sulla bicicletta gialla c’aveva scritto “viva la fica” con il pennarello nero.
Pedalavano lenti, agitando poco le gambe, zigzagando con i manubri. La strada di terra alzava polvere sotto le ruote, e la soffiava nei campi.
L’uno storto tirava fuori un pacchetto di sigarette morbido, con dentro le cicche tutte accartocciate, e ne metteva una in bocca, e poi lanciava il pacchetto agli altri, senza smettere di pedalare. E anche gli altri ne mettevano una in bocca, e accendevano tutti. E pedalavano fumando, e sbuffando fuori grandi boccate di fumo, ma senza aspirare.
Poi l’uno alto si fermò.
– Guardate che ho trovato – disse.
Anche gli altri tirarono i freni a sgommare.
– Un figlio di puttana d’uccello – continuò l’uno alto – se lo piglio gli stacco la testa –
L’uccello era un passero che non volava. Stava lì fermo, al lato della strada battuta, perché forse era stanco, o aveva volato troppo e non aveva più dove andare.
– Se lo piglio gliela faccio vedere –
L’uno alto scese dalla bicicletta rossa e si buttò sul passero con le mani a prenderlo. E lo prese.
– Spaccagli quella testolina del cazzo – disse l’uno storto.
Così l’uno alto gli torse il collo al passero, stringendo fra l’indice e il medio la piccola testa, finché il cervello venne fuori. Poi ognuno spense la sua cicca sul petto dell’uccello, e gli tirarono via due penne dall’ali. Quando l’uno alto aprì i palmi il passero volò via, così come stava, con il cervello di fuori e con le ali spennate. E le bruciature sul petto, e il collo tirato.
– L’abbiamo conciato bene – disse l’uno alto – sono proprio contento –
E ripartirono pedalando sempre lenti, con gli occhi a guardarsi intorno, in cerca di qualcosa da fare. E giravano le gambe, e proiettavano le ombre del sole. E il giallo di strada e di terra brillava sul verde di campi e di erba. E i tre tipi a pedalare.
Fino a pochi metri dopo, quando l’uno basso si fermò.
– Guardate che ho trovato – disse.
E tutti a guardare.
– Un cesto del raccolto di mele merdose – continuò – quasi quasi gliele pesto tutte al bastardo d’un contadino –
Il cesto era un vimini intrecciato pieno di mele mature. Il contadino le aveva raccolte o per mangiarle o per spremerle, o magari per venderle.
– Dev’essere andato a far un riposino, il culone – disse l’uno alto.
Le mele invece riposavano lì, al sole del lato della strada battuta. E brillavano di rosso e di verde.
– Gliela faccio vedere io che belle mele che si ritrova – 
Così l’uno basso scese dalla bicicletta e rovesciò il cesto. Poi gli calpestò tutte le mele, con le suole delle scarpe a saltarci sopra, e a tirar calci al vimini per romperlo. Poi ognuno scese di bicicletta e si abbassò i pantaloni, e pisciò sulle mele e sui torsoli di mele spaccati. E ancora presero a calci il cesto e i frutti. Quando l’uno basso finì di calciarle e di sputarci sopra, le mele rotolarono via, a risalire sugli alberi. Tutte spaccate e sporche com’erano. E grondavano sidro e piscio giù dai rami.
– Gliel’abbiamo proprio giocata bella a quel bastardo – disse l’uno basso – Sono proprio contento –
E ripartirono ancora, a pedalare lenti. Annoiati e divertiti. Sbuffando il fumo e il fiato a perder tempo. E pedalarono un po’ e un po’, e il sole li colorava.

 

Si fermarono alla fine della strada battuta, nello slargo fra i campi, poco vicino al paese.
L’uno storto tirò fuori una bottiglietta di gin, e l’aprì, e ne bevve un sorso. Poi diede la bottiglia a tutti, e tutti ne presero un sorso, ma nessuno parlava. L’uno basso giocava a tirare i freni della sua bicicletta e di quella degli altri, ma da fermi.
Finché l’uno storto non bevve un altro sorso e guardò in fondo al campo e indicò.
– Guardate che ho trovato – disse.
E l’uno basso e l’uno alto a strizzare gli occhi.
– Quello schifo d’un pozzo dell’acqua – continuò – mi garberebbe di buttarci qualcosa, così, per fare uno scherzetto –
Il pozzo teneva l’acqua del paese e la mandava alle case, e dentro i tubi, e dentro i rubinetti e le docce.
– Mi garberebbe di buttarci qualcosa da inquinar tutto il paese –
Presero a camminare un poco, tutti verso il pozzo, e lo raggiunsero presto. Era profondo, e pieno d’acqua sul fondo.
L’uno storto prese la bottiglia di gin e la stappò di nuovo, e ne bevve un sorso, e la rovesciò tutta nel pozzo.
– Diamogli fuoco a questo schifo d’un pozzo – disse l’uno basso.
Allora l’uno storto prese un fiammifero, e se lo accese sulla patta dei pantaloni. Poi lo buttò nel pozzo, ad incendiarlo. Il gin s’infuocò sull’acqua, e tutto il pozzo fiammò. E allora il fuoco corse ed entrò nei tubi, e dentro le case, e dentro i rubinetti e le docce. E ognuno che nel paese apriva un goccio d’acqua per fare un sorso o bagnare la faccia, si ritrovava le fiamme e il fuoco dal lavandino. E nelle case i tubi diventavano rossi, e i rubinetti si squagliavano, e chi si faceva la doccia rimaneva bruciato. E poi le stanze presero fuoco, e le tende alle finestre, e le porte e i portoni. L’acqua infuocata scese i piani e allagò i letti, e i tavoli, e le tovaglie e i vestiti negli armadi, e scendeva i piani uno a uno.
– L’abbiamo proprio conciato bene quello schifo d’un pozzo – disse l’uno storto – sono proprio contento –
E il fuoco ancora bruciava il pozzo e il paese poco vicino, e tutti e tre a strizzare gli occhi e ad ammirare.
L’uno storto tirò fuori le cicce e il pacchetto, e ne passò una a tutti, e l’accesero. Tutti a tirar grandi boccate di fumo.
– L’abbiamo proprio conciate bene le nostre schifo di case – disse l’uno alto.
E i rubinetti ancora a sputar fuoco, e i tetti a bruciare.
– Sono proprio contento –

 

Le tre biciclette al sole, con sopra i tre tipi, stavano lì a guardare. L’estate era quella che infuoca i boschi, e i campi, e le case. E il sole era quello del tardo pomeriggio. Il paese era quello poco vicino e che bruciava.
E i tre tipi ridevano, e quello bruciava.

bottom of page